Publisher's Synopsis
I fini intellettuali e morali, le idee e gli ideali, han valore teoretico e pratico in quanto s'oppongono al mondo dei sensi e lo trascendono all'infinito, per attingere la conoscenza delle cause universali e necessarie e delle leggi assolute; e il pensiero umano è pensiero in quanto forza i sensi e sale a Dio: pur nondimeno tutto ciò, se esiste, esiste sensibilmente, come mio individuale essere empirico, e all'individuale sensibile, alla cosa e all'atto, deve ritornare, se non vuol piombar nell'astratto. L'astratto, nella conoscenza e nella pratica, è dopo tutto esso medesimo null'altro che l'illusione d'un concreto, che l'insufficienza del nostro ingegno o la debolezza del nostro volere non ci han permesso di raggiungere: ipocrisia e viltà. Allora, cogito ergo sum significa: posso dubitare di tutto, ma non posso dubitare del mio pensiero perchè lo sento: lo sento sensibilmente, proprio, come dubbio; questo è il suo esistere, che non dipende dal mio volere - perchè il volere è sempre diretto a ciò che ancora non è - fare che non sia. Quanto alla realtà di ciò di cui dubito, per esempio del mondo o di Dio, e alle idee che me ne vado formando con l'atto di pensare in cui s'attua quel dubbio, anch'esse esistono come giudizi e parole: come realtà in sè, debbono esistere, ma la sola prova che ne posseggo è la certezza che accompagna l'idea chiara ed evidente. Certezza, come ognun vede, è di nuovo un sentire; di nuovo, nell'interno del pensiero pensante, il suo essere reale si sdoppia contrapponendo il valore di realtà - il suo dover essere universale e necessario (a priori) - all'esistenza di essa realtà come sensibile, anzi come mero sentire, dubbio e certezza (almeno di tal dubbio). L'antica saggezza indica col dito il cielo delle idee assolute; ma non appena ringiovanisce, Dafür! esclama: Gefühl ist alles. Assurdo è il sensismo, se ci fosse un sensismo del puro senso: una teoria che negasse l'idea, ossia se stessa: ma la sensazione esiste. Non è nulla ancora, non è nulla fuori del pensiero - intendo ormai dire che non è una realtà logica, poichè questa realtà di cosa o fatto determinato glie l'attribuisce il pensiero -, ma esiste. Anzi, a ben considerare, esistere significa proprio e soltanto esser o poter essere sensibile. La matematica non scopre leggi di natura, ma inventa formule logiche, per cui la sua verità è ineccepibile sol nei limiti e nelle condizioni entro cui si elabora. Difatti oggi la matematica, o si chiude in sè stessa come ricerca puramente formale, e in questo senso non ci dà altra certezza che quella conveniente al rapporto stesso di non contraddizione che ne regge lo svolgimento analitico; oppure s'applica come scienza positiva alle ricerche fisiche, e in questo senso diventa un semplice strumento di misurazione che abbrevia l'esperienza e ci permette per via di riduzione di giungere a risultati che l'esperienza sensibile non ci darebbe. Ma a parte tutto ciò, il ragionamento in generale in che senso è certo? Vorrei rispondere con un gioco di parole: è certo se ha un senso. Il ragionamento non è la ragione. È strumento di conoscenza, non è la conoscenza; anche un idiota (anche una macchina) può ragionare benissimo e non capir niente: basta che ragioni a fil di logica, secondo i principi d'identità e contraddizione. È in questi che abbiam fede: deve esistere qualcosa d'identico perchè ci sia una realtà, sebbene non se n'abbia alcuna esperienza perchè tutto muta nel mondo sensibile. Dev'esserci un'unità a posteriori corrispondente all'unità a priori del nostro intelletto. Allora, la conoscenza consiste nel cercare, ossia nello scoprire l'identico attraverso le differenze. Che cos'è dunque il reale oggi per la scienza? Quello che è per la filosofia!